L’anno sabbatico del vigneto israeliano. Opportunità di mercato?
In Israele l’annata 2014 di vino non ci sarà. Il motivo non è il conflitto di Gaza, ma una legge della Torah che blocca tutte le attività in vigna. Abbiamo sentito gli italiani specializzati in kasher per capire quali spazi ci sono e se oggi conviene cimentarsi con questo tipo di prodotto.
Vediamo nel dettaglio chi sono i produttori italiani, qual è la loro esperienza e quali le prospettive. Stefano Cinelli Colombini, della Fattoria dei Barbi a Montalcino, ha fatto una prima esperienza nel 2011 con Il Poggialto, un Igt Toscana Rosso, ma per ora non ha replicato: “I costi di produzione sono elevati – tutte le lavorazioni con il rabbino sono molto costose- e ammortizzabili su quantità ridotte. Ho proposto, per limitare le spese, di automatizzare completamente la vinificazione evitando così dei passaggi”. Il problema dei costi di produzione è posto con forza da Pietro Ferri, direttore della Cantina Sociale di Pitigliano che produce la linea Pitigliano La piccola Gerusalemme: “Sono quasi trent’anni che produciamo vino kasher – e anche l’Olio Extravergine Kasher Le Pesach – ma le quantità di uva lavorata sono drasticamente diminuite. Il mercato estero è difficilissimo e quello domestico lo è altrettanto perché la richiesta si basa soprattutto su prezzi molto bassi. La crisi poi, ha notevolmente influito sui volumi e oggi la domanda dei curiosi è maggiore di quella degli osservanti”. Un aspetto che evidenzia anche Antonio Capaldodi Feudi San Gregorio. L’azienda irpina che si fregia per i propri prodotti (Fiano di Avellino Maryam e il Campania Igt Aglianico Rosh) della certificazione della Orthodox Union, esporta in Usa il 50% della produzione: “La distribuzione dei nostri kasher è la stessa di Feudi anche negli Usa e le e richieste, sia in Italia, sia all’estero, ci provengono anche da non ebrei. Il nostro prodotto d’altra parte è qualitativamente elevato ed è anche per questo che la curiosità si sta ampliando ad altre fasce di consumo”. Andrea Pandolfo della Cantina Sant’Andrea di Terracina con 150.000 bottiglie all’anno è uno dei maggiori produttori italiani kasher. “Abbiamo iniziato nel 1999 con 20/30 mila bottiglie ora ci siamo stabilizzati sulle 150 mila. Il nostro Moscato è una varietà molto ricercata, ma il consumo locale è fermo. Le nostre difficoltà sono dovute soprattutto all’euro forte che ci rende poco competitivi in Israele e America”. Dello stesso avviso Pierpaolo Chiasso, direttore di produzione della Falesco: “Non abbiamo avuto richieste particolari per l’anno prossimo quindi la produzione rimarrà sulle 20/22 mila bottiglie di vino kasher”. Quanto a Shmitah Mosè Silvera dice di non prevedere “incrementi della domanda di vino italiano kasher, anche perché le cantine israeliane da tempo si sono premunite per ovviare alla mancanza di prodotto, aumentando i volumi in stoccaggio”. A conferma di quanto detto sopra, c’è anche un’analisi di mercato americana – The Speciality Food Market in North America del 2012 – secondo cui solo il 15% dei consumatori kasher sono ebrei. La certificazione, infatti, da molti viene vista come un indice di genuinità. Un vissuto di mercato confermato anche da tutte le aziende italiane. Forse è lì che bisogna andare a pescare.
a cura di Andrea Gabbrielli
Dal Gambero Rosso